lunedì 30 maggio 2011

03 | Ragioni e obiettivi del Laboratorio di Creatività Urbana come iniziativa pilota

Le forme nuove per ri-pensare la città (entità relazionale e sociale prima ancora che spaziale) necessariamente devono rivelarsi creative e non ortodosse. L’enunciato chiaro e semplice di Poincaré ci ricorda che essere creativi vuol dire nient’altro che cercare connessioni nuove e utili. Connessioni fra elementi già esistenti. Creatività per essere smart, per essere green, per essere, soprattutto, socialmente vivaci, mobili, accesi e per reagire ad una condizione di svantaggio che, per le nostre società ed economie mature ed invecchiate, da congiunturale si sta trasformando in strutturale. Il fatto di non disporre di una definizione generale e comunemente accettata di città creativa, smart e green, deve essere considerato un vantaggio, perché obbliga i contesti a muoversi fuori dalle procedure definite (condizione che, per quanto costrittiva, risulta sempre rassicurante ai più), con poche o nessuna best practice a disposizione e qualche buona pratica cui fare riferimento.

Bike Polo versione urbana
Non si tratta di una gara a chi arriva prima e si prende il piatto, lasciando agli altri le briciole. Si tratta di un percorso in cui ciascuno deve essere capace di essere creativo all’interno delle proprie condizioni e rispetto a propri obiettivi, con le proprie forze e malgrado le proprie debolezze.

Per fortuna ancora non sono stati definiti disciplinari e certificazioni, marchi e brand. Queste deformazioni, a cui tutti siamo stolidamente assoggettati, arriveranno, perché fanno ormai parte della nostra cultura da almeno due decenni e tenderanno ad escludere piuttosto che ad includere; tenderanno ad omologare piuttosto che a diversificare; produrranno business, classifiche, consulenze.

L’Emilia-Romagna, le sue municipalità, le sue comunità locali, articolate in una galassia infinita di associativismo e cooperativismo, hanno tanti pregi. In particolare per quel che riguarda la gestione della cosa pubblica. Ma la creatività richiede invenzione più che gestione.

ZMIK - Temporary space
Teatri, auditorium, musei e gallerie sono quanto mai necessari per aumentare in qualità e quantità i consumi culturali, ma sono ancor più necessari spazi di liberta e creatività dove favorire la produzione culturale da parte dei più giovani.   Temporary/Contemporary Spaces, liberati dalla selva normativa e procedurale che apparentemente permette la gestione, soffocando in realtà le opportunità di tutto quanto non può, non vuole (e non deve) rientrare negli schemi. La creatività ha tanto bisogno di libertà e di fiducia collettiva, quanto l’intelligenza smart e le azioni green hanno bisogno di opportunità e di investimenti mirati, ancorché di limitata entità.

Molto spesso, anche se tendiamo a sottovalutare questo aspetto, i risultati più interessanti dipendono assai più da processi decisionali innovativi che dalla presunta replicazione di altrui buone pratiche. Ed è anche bene sottolineare che non si è creativi, smart o green grazie ad interventi puntuali, singole politiche settoriali, né, tantomeno, attraverso singoli progetti occasionali, incapaci di generare trasformazioni complesse e diffuse, come vorrebbero gli esegeti della “agopuntura urbana”, che hanno ascoltato qualche conferenza di Jaime Lerner, il grande sindaco di Curitiba, la cui azione e il cui gruppo culturale di riferimento possedevano una visione di sviluppo di lunga durata.

Jaime Lerner
Si può essere creativi, smart, green e agopuntori urbani di successo solo se si possiede una visione strategica di insieme, ampiamente accolta e condivisa dalla popolazione residente, capace di generare attese ma, soprattutto, mobilitazione sociale, azioni dirette anziché lunghe sedute collettive di partecipazione parlata.

02 | La città creativa

La definizione di città creativa può essere banalmente ridotta a puro slogan e può essere utilizzata in modo stolido per un marketing urbano di dubbia consistenza. Una città, infatti, non diventa creativa solo perché qualcuno ha deciso che questo deve diventare. Una attitudine sociale e collettiva alla creatività è il vero elemento di base affinché contesti urbani, metropolitani e territoriali possano definirsi ed essere definiti creativi.

Come scrive Charles Landry, la città creativa è quel contesto urbano e civico che sa mettere i propri abitanti nelle condizioni di esprimere al meglio le potenzialità di ciascuno, nei più diversi campi dell’attività umana, supportando le reti di relazione fra università, imprese, associazioni ed esaltando al tempo stesso valori intangibili, ma basilari, come la socialità, la solidarietà, il talento e la tolleranza, la collaborazione e la cooperazione come elementi che qualificano e rinnovano la competizione e lo sviluppo locale, impiegando “un regime di regolamentazioni e di incentivi per piegare la logica del mercato a finalità più elevate”[1].


Jane Jacobs
E di fronte a performance sciocche e vuote di senso come Dubai, Abu Dabi, o le tante città progettate ex novo in Cina, in India, nei Paesi Arabi da archistar più o meno note, bisogna tornare a Jane Jacobs e alla pietra miliare del suo insuperato “Vita e morte delle grandi città”: “progettare una città da sogno è facile […], È ricostruirne una vitale che richiede fantasia”.



[1]  Charles Landry, City Making. L’arte di fare la città, Codice Edizioni, Torino 2009, pp. 396.

01 | La creatività (nella, della, per la) città: una questione molto dibattuta ma scarsamente praticata


Il Servizio Riqualificazione Urbana della Regione Emilia-Romagna e il Centro Ricerche Urbane, Territoriali e Ambientali dell’Università di Ferrara stanno lavorando da alcuni mesi al lancio di un Laboratorio di Creatività Urbana, con l’obiettivo di promuovere nuove riflessioni e nuovi stimoli per la riqualificazione e la rigenerazione della città. Dopo un quindicennio di pratiche si impone un ripensamento e un aggiornamento dei meccanismi di gestione della trasformazione urbana. 

Cosa significa creatività? Tra le tante definizioni possibili di creatività si è scelta quella fornita dal matematico Henri Poincaré, fondata sulla profonda conoscenza delle regole e sulla necessità di superarle o ridefinirle continuamente. Poincaré riflette sulla creatività come quella capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove e utili, dove l'utilità della combinazione nuova è "che sia bella". Da matematico egli non sta parlando di bellezza in senso strettamente estetico, ma di qualcosa che ha a che fare con l'eleganza: armonia, economia dei segni, rispondenza funzionale allo scopo. Niente si crea dal nulla e gli elementi preesistenti sono necessari tanto quanto la competenza per unirli in nuove combinazioni, selezionando, fra quelli disponibili, quelli capaci di combinarsi insieme, creando nuova utilità e bellezza. Lungi dal voler ridurre il termine “creatività” ad una mera formula matematica, questa premessa ha l’obiettivo di sottolineare quanto la creatività sia una attitudine mentale e individuale e che, in seconda battuta, può assumere una rilevanza sociale attraverso la cooperazione dei singoli e attraverso un costante esercizio per mantenere in equilibrio le nozioni e le pratiche di routine e di innovazione.