lunedì 30 maggio 2011

02 | La città creativa

La definizione di città creativa può essere banalmente ridotta a puro slogan e può essere utilizzata in modo stolido per un marketing urbano di dubbia consistenza. Una città, infatti, non diventa creativa solo perché qualcuno ha deciso che questo deve diventare. Una attitudine sociale e collettiva alla creatività è il vero elemento di base affinché contesti urbani, metropolitani e territoriali possano definirsi ed essere definiti creativi.

Come scrive Charles Landry, la città creativa è quel contesto urbano e civico che sa mettere i propri abitanti nelle condizioni di esprimere al meglio le potenzialità di ciascuno, nei più diversi campi dell’attività umana, supportando le reti di relazione fra università, imprese, associazioni ed esaltando al tempo stesso valori intangibili, ma basilari, come la socialità, la solidarietà, il talento e la tolleranza, la collaborazione e la cooperazione come elementi che qualificano e rinnovano la competizione e lo sviluppo locale, impiegando “un regime di regolamentazioni e di incentivi per piegare la logica del mercato a finalità più elevate”[1].


Jane Jacobs
E di fronte a performance sciocche e vuote di senso come Dubai, Abu Dabi, o le tante città progettate ex novo in Cina, in India, nei Paesi Arabi da archistar più o meno note, bisogna tornare a Jane Jacobs e alla pietra miliare del suo insuperato “Vita e morte delle grandi città”: “progettare una città da sogno è facile […], È ricostruirne una vitale che richiede fantasia”.



[1]  Charles Landry, City Making. L’arte di fare la città, Codice Edizioni, Torino 2009, pp. 396.

Nessun commento:

Posta un commento